Il corpo, oggetto di così tanta attenzione e dedizione in questi ultimi tempi, diviene per il praticante che sceglie la via dello yoga spazio sacro e prescelto per la prassi e l’asana, in questo contesto, trascende la semplice esplorazione fisica, per diventare invece via o  presupposto di conoscenza, occasione di esplorazione di tutti i livelli che ci compongono.
Questo corpo attraverso il quale impariamo, nel cui regno ci incamminiamo per poterci conoscere, al cui orizzonte interno guardiamo per ritrovare, o ricordare forse, la nostra vastità, è porta di accesso a un’esperienza a tutto tondo, diviene mandala, mappa in chiave microcosmica di un macrocosmo del quale siamo parte e al quale siamo legati.
Durante la pratica impariamo a leggere questa mappa per scoprire nuovi luoghi e attraverso la nostra capacità di relazionarci a quei a luoghi impariamo chi siamo, dove inciampiamo e cosa ci aiuta a rialzarci; a volte capita anche che ci concediamo il lusso di perderci per vedere che c’è al di là di quella valle, in fondo a quel lago, oltre quella notte senza stelle.

Corpo come mandala e asana come esperienza totale che usa il corpo per poi “passarci attraverso”, un’intenzione che si muta in un’attitudine.

Attenzione, i primi passi nella pratica è bene che abbiano un intento, ci diano una direzione, nella ritualità dell’asana nulla è lasciato al caso, tutta la nostra attenzione è lì a sostenerla e farla vibrare, tutto è dentro, nulla è fuori…quindi forse niente viene escluso?
Che forse, proprio attraverso l’asana e il suo rituale al quale ci offriamo, purchè in maniera assoluta, ci sia data l’occasione di scoprire che in realtà nulla né è escluso?
O meglio, attraverso l’asana scopriamo il centro, il suo, il nostro, e se ascoltiamo con amore e devozione, ecco che il nostro centro in realtà si rivela ovunque; si, niente è escluso. Allora la pratica ci fa il regalo più grande: ci rende liberi, forse anche dalla pratica stessa!

Mutata con coraggio l’intenzione in attitudine, lo sguardo prensile del ricercatore nello sguardo ampio dell’innamorato, la pratica ci risveglia alla vita innalzandoci ad uno diverso stato coscienziale dove ogni gesto può essere asana e varco, ogni parola può essere vibrazione trasformatrice.Tutto è stato ordinato, tutto è stato sistemato, i campi interni sono stati arati, l’orizzonte interiore è terso, il viaggiatore è pronto ora a…fermarsi!

Ed eccoci qui, impariamo a “sederci nella vita”, ascoltiamo il suo suono, il suo canto, grati al corpo che ci sostiene, grati alla mente che ci accompagna, grati al respiro che ci muove, grati all’esistenza che si dispiega attraverso il nostro darsi al lei.
La vita è sensazione, non pensiero. Ecco che dopo tanto girovagare e cercare, troviamo pace nel tempio che per tanto tempo abbiamo sperato di vedere apparire oltre chissà quale montagna; ma è lì, è interiore ed ognuno ha la fortuna di arrivarci al momento giusto con i suoi passi e ognuno lo costruisce con  amore nel proprio centro. Poi dopo tanto zelo, qualcuno si abbandona e si lascia libero, lascia che il suo tempio, quello costruito con amore e sollecitudine nel proprio centro, ebbene semplicemente lascia che sia ovunque, per potervi accedere in ogni momento, senza una condizione, senza una forma.
Lascia che ovunque diventi il suo nuovo centro e si siede, ovunque, nella vita. E ascolta. E assapora. E vive.

“La vita è sensazione, non pensiero.” Eric Baret

– illustrazione di A. Suvorova